L’anno della confusione

L’anno della confusione
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Fu così chiamato il 46 a.C. quando Giulio Cesare, nella sua riforma calendariale fatta per rimettere in sincrono l’enorme sfasatura che si era creata fra calendario e stagioni – causata anche da manipolazioni arbitrarie del calendario fatte dai sacerdoti e protrattesi nei secoli – si trovò costretto a far durare quell’anno ben quindici mesi ovvero 456 giorni.

Il calendario che Giulio Cesare modificò era quello creato da Numa Pompilio, il mitico secondo re di Roma che regnò sulla giovane città dal 715 a.C. al 674 a.C., che a sua volta aveva modificato il calendario che la tradizione assegnava a Romolo e che risaliva all’epoca della fondazione di Roma, un calendario composto da 10 mesi che iniziava nel mese di marzo e terminava nel mese di dicembre – ancora oggi ne vediamo traccia nei nomi di settembre (settimo mese), ottobre (ottavo mese), novembre (nono mese) e dicembre (decimo mese).

Cosa fece Numa Pompilio? Intanto creò e introdusse due nuovi mesi, gennaio e febbraio, poi variò la lunghezza di alcuni mesi arrivando a contare un anno di 355 giorni e istituì il mese intercalare o mercedonio[1] che contava 22 o 23 giorni e che veniva inserito, ogni due anni, cinque giorni prima della fine di febbraio, andando così a formare un mese di 27 o 28 giorni che serviva a ristabilire l’accordo fra ciclo lunare e ciclo solare (quindi il calendario numano era luni-solare).

Anche in questo calendario l’anno iniziava a marzo, cioè quando entravano in carica i consoli. Dal 153 a.C. l’entrata in carica dei consoli venne spostata al 1° gennaio che così da quel momento divenne il primo giorno dell’anno.

E però tale tipo di calendario non vide la luce fino al 304 a.C., andando poi avanti fino al 47 a.C. quando si dovette di nuovo metter mano a tutta l’impalcatura calendariale.
Ciò si rese necessario perché l’anno numano, non essendo perfettamente in sintonia con l’anno solare, aveva col tempo accumulato errori, ma anche perché era stato oggetto di abusi da parte dei sacerdoti che si “dimenticavano” a volte di intercalare il mese mercedonio per motivi politici o allungavano e accorciavano a piacimento i mesi, arrivando così ad accumulare errori anche di tre mesi rispetto alle stagioni.
Era infatti il sacerdote che verbalmente annunciava al popolo romano le più importanti scadenze mensili; essendo un calendario anche lunare le uniche scadenze fisse erano l’apparizione della prima falce lunare e la Luna Piena; il mese iniziava al primo apparire della falce lunare, e quel giorno (quindi il 1° di ogni mese) prese il nome di Kalendae perché il pontefice annunciava (calare, ‘annunciare’, ‘chiamare’) sia la prima apparizione lunare sia le principali scadenze del mese appena iniziato (da Kalendae deriva il termine ‘calendario’). Quando invece si arrivava alla Luna Piena, quel giorno prese il nome di Idus o Eidus (Idi), perché divideva il mese in due parti uguali (iduare, ‘dividere’); le Idi cadevano il 13 o il 15 del mese, a seconda della lunghezza del mese; da considerare che i Romani avevano un’avversione per i numeri pari che consideravano sfortunati.

Fu così che, di errore in errore, si arrivò al 47 a.C. quando Giulio Cesare, al rientro dalla sua spedizione in Egitto, decise di mettere ordine in tutto questo marasma. Per far ciò dette incarico ad una commissione presieduta dall’astronomo e astrologo Sosigene di Alessandria di trovare una soluzione ottimale alla questione calendariale. Il risultato fu il calendario giuliano, che entrò in vigore il 1° gennaio del 45 a.C., mentre l’anno prima, il 46 a.C., anno del passaggio dal vecchio al nuovo calendario, divenne l’anno della confusione (annus confusionis ultimus…): infatti per poter riallineare il tutto con le stagioni fu necessario inserire due mesi straordinari (tra novembre e dicembre), e siccome poi quello era anche l’anno in cui c’era il mese intercalare, in tutto si ebbe un anno di quindici mesi (456 giorni), così come esposto dallo scrittore latino Svetonio (70-140) nella sua opera De vita Caesarum – Divus Iulius:

[40] Dedicandosi quindi alla riordinazione dello Stato della Repubblica corresse il calendario che l’abuso dei pontefici nell’intercalare aveva turbato, tale che non coincidevano più né le ferie dei raccolti con l’estate né quelle della vendemmia con l’autunno; regolò l’anno secondo il corso del Sole, in modo che avesse 365 giorni e, eliminato il mese da intercalare, stabilì che avesse un solo giorno intercalare ogni quattro anni. Perché in futuro l’inizio dell’anno nuovo fosse in concordanza con le Calende di Gennaio, inserì altri due mesi tra Novembre e Dicembre; così quell’anno, in cui queste cose entrarono in vigore, fu di quindici mesi con l’intercalare che per consuetudine cadeva in quell’anno.

Il calendario giuliano rimarrà in vigore fino al 1582.


[1] Da merces, ēdis, cioè ‘salario’, ‘prezzo’, ‘paga’, perché in quel periodo si effettuavano i pagamenti.

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