Gli asteroidi nel Tema di Gaetano Donizetti

Gli asteroidi nel Tema di Gaetano Donizetti
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Il grande compositore Domenico Gaetano Maria Donizetti nacque a Bergamo da umile famiglia il 29 novembre 1797 alle ore 07.30 locali.

All’età di nove anni frequentò le “Lezioni caritatevoli di musica” che il compositore bavarese Giovanni Simone Mayr, maestro di cappella della Basilica di Santa Maria Maggiore a Bergamo, aveva da poco (1806) fondato per dare un aiuto ai giovani bisognosi insegnando loro non solo la disciplina musicale ma altresì il latino, la storia e le belle arti. Subito il giovane Gaetano dimostrò una notevole predisposizione per la musica e grazie all’interessamento dello stesso Mayr venne accolto (1815-1817) al Liceo Filarmonico di Bologna, diretto all’epoca da padre Stanislao Mattei, ove avrà poi modo di cimentarsi in quella che fu la sua prima opera lirica, Pigmalione, scritta tra il 15 settembre e il 1° ottobre del 1816.

La maturazione del suo linguaggio espressivo continuò velocemente e sempre grazie ai buoni uffici del suo maestro e oramai amico Mayr ottenne una scrittura al teatro Argentina di Roma dove il 22 gennaio 1822 mise in scena la sua opera Zoraide di Granata che, grazie anche all’eccezionalità degli interpreti, il soprano Maria Ester Mombelli e il tenore Domenico Donzelli, lo consacrò astro nascente dell’operistica.

Donizetti scriveva le sue opere in maniera entusiastica, di fretta, arrivando in pochi giorni a stendere opere dal fraseggio dinamico e altamente creativo, riuscendo altresì a ben assimilare e fare proprie le tendenze stilistiche dell’epoca che molto risentivano della vivacità e del ritmo incalzante rossiniano; fu così che quando Gioacchino Rossini partì per Parigi e il mondo musicale italiano si trovò nella necessità di trovarne un degno erede, Donizetti parve l’uomo giusto al momento giusto, così che, sulla scia del successo romano, venne richiesto dal teatro alla Scala di Milano, arrivando in città il 3 agosto 1822 per firmare il contratto. Iniziò così a collaborare col librettista Felice Romani che il 3 ottobre dello stesso anno gli consegnò il libretto di una nuova opera, Chiara e Serafina ossia I pirati, opera che Donizetti presentò addirittura già pronta per le prove il 15 ottobre, dimostrando ancora una volta la celerità, la rapidità, l’urgenza, l’impellenza del suo estro creativo. L’opera andò in scena dieci giorni dopo, ma non ebbe il successo sperato, probabilmente per la non buona prova dei cantanti.

Nel frattempo gli venne chiesto di riproporre Zoraide di Granata, questa volta con il rifacimento del libretto da parte del poeta Jacopo Ferretti; l’opera andò in scena sempre al teatro Argentina a Roma nel 1824 ma ebbe tiepida accoglienza, e anzi venne duramente criticata dallo scrittore Stendhal che aveva una profonda avversione per Donizetti (mentre esaltava Rossini).

Foto da: www.wikiwand.com

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In quegli anni compose molto e freneticamente, e non sempre ciò che usciva dalla sua penna trovò pubblico e critica consenzienti, anzi: si diceva che la fretta con la quale scriveva andava a scapito della qualità del suo lavoro, tale che alcuni critici, proprio per questa sua facilità di scrittura che spesso partoriva lavori dozzinali, gli avevano affibbiato l’epiteto di “Dozzinetti”, critica certo ingiusta ché di lì a poco si riscattò con opere di vero successo che stavano a dimostrare come si fosse lasciato alle spalle i modelli rossiniani creando un proprio stile lirico-drammatico trasfuso in lavori come, ad esempio, Anna Bolena (26 dicembre 1830, teatro Carcano, Milano) o L’elisir d’amore (maggio 1832, teatro Cannobiana, Milano).

Nel 1834 il re di Napoli lo chiamò alla cattedra di Composizione del Real Collegio di Musica, degno omaggio al suo genio; ma ancor più l’omaggio gli venne da Gioacchino Rossini, che da tempo riparato a Parigi lo chiamò nella capitale francese affinché scrivesse e rappresentasse una sua opera, e il risultato fu la tragedia Marin Faliero, che andò in scena il 4 marzo 1835 al Théâtre des Italiens a Parigi, stesso teatro che mesi prima aveva assistito al successo de I Puritani di Vincenzo Bellini, successo che però non arrise del tutto all’opera di Donizetti, così che Bellini non perse tempo nel punzecchiarlo cantando vittoria e proclamandosi quindi “primo dopo Rossini”.

Invece di abbattersi quello fu per Donizetti uno stimolo ad andare avanti: d’altronde si era sempre sentito spinto a fare in special modo nei momenti di tensione, lavorando meglio, come si è visto, quando le cose gli mettevano fretta.

I risultati, e con essi il successo, non si fecero attendere, e il 26 settembre 1835 al teatro San Carlo di Napoli vi fu la prima di uno dei suoi capolavori, la Lucia di Lammermoor, portata a termine, su libretto del grande drammaturgo Salvadore Cammarano, in meno di quaranta giorni.

Il periodo tra il 1835 e il 1837 fu però per Donizetti carico di eventi prostranti, assistendo impotente alla morte del padre, della madre, del secondo figlio appena nato e, il 30 luglio del 1837, dell’amata moglie Virginia Vasselli, deceduta ad appena ventinove anni per un’infezione sifilitica che lui stesso le aveva trasmesso.

Tale sconquasso psicologico fu superato nell’unico modo che conosceva, cioè lavorando alacremente, infaticabilmente e cocciutamente alle sue opere, e più la tensione e l’angoscia salivano più lui si gettava a capofitto nello scrivere. Ma nulla poteva contro le umiliazioni esterne, i rifiuti e le censure che le autorità imponevano alle sue opere, e fu così che decise di allontanarsi dall’Italia e riparare a Parigi (21 ottobre 1837), dove nacquero opere come Il Duca d’Alba, La favorite, Les Martyrs, Lucrezia Borgia, La figlia del reggimento, che gli aprirono le porte dell’Opéra.

Proprio Lucrezia Borgia, andata in scena il 31 ottobre 1840 al Théâtre des Italiens, gli creò, seppur indirettamente, qualche grattacapo: dopo venti rappresentazioni l’opera venne sospesa causa un’accusa avviata da Victor Hugo nei confronti della traduzione fatta da Étienne Monnier al testo del libretto di Felice Romani che secondo lo scrittore francese era un plagio del suo dramma del 1833.

I successi che stava mietendo in quel periodo erano tali che ebbe anche il privilegio di esser nominato, a Vienna, “maestro di cappella e di camera, e compositore di corte”, carica che fu di Mozart. Nacquero in quel periodo opere come Caterina Cornaro, Don Pasquale, scritta in una decina di giorni, Maria di Rohan, Don Sebastiano.

Ma ben presto iniziarono i problemi di salute legati al suo stato leutico, i forti mal di testa, gli esaurimenti, la deconcentrazione, dichiarandosi “stanco di travagliare” ma continuando freneticamente a farlo, viaggiando e scrivendo, continuamente richiesto ora qui ora là, da Parigi a Vienna, da Roma a Milano, da Bergamo a Napoli. Nell’agosto del 1845 un aggravamento delle sue condizioni fisiche e psichiche, i suoi deliri, le sue allucinazioni, portarono il suo medico curante, d’accordo con il nipote Andrea, a internarlo in una clinica per disturbi psichici a Ivry-sur-Seine, segregazione che però andava ancor più a minare l’equilibrio del maestro. Amici e politici si misero allora in moto per toglierlo da quell’assurda carcerazione, e tanto fecero, grazie anche all’appoggio del governo austriaco, che riuscirono a far trasportare Donizetti a Bergamo (19 settembre 1847). Assistito dai suoi amici, senza aver ripreso conoscenza, ormai in delirio, si spense l’8 aprile 1848 alle cinque del pomeriggio.
Nel settembre 1875 la salma di Donizetti venne riesumata e con grandi onori collocata nella Basilica di Santa Maria Maggiore, tumulato accanto all’amico e maestro Giovanni Simone Mayr.

Donizetti fu una figura geniale e nel contempo angosciata e affannata, eppure fu proprio nel dolore e nell’amarezza che trovò la forza per andare avanti: «La sua esistenza tanto convulsa e spesso minata dalla disperazione fu tutt’uno con la sua arte, così tesa a riservare nel canto la misteriosa fatalità che è propria della tragedia: il binomio romantico arte-vita si attuò in Donizetti quasi sotto forma mistica, con quel senso religioso dell’essere e dell’operare che è tanto raro nel Romanticismo italiano»[1].

Se osserviamo il suo Tema natale vediamo un Sole sagittariano, forte per la sua angolarità orientale (anche l’Ascendente è in Sagittario), in trigono alla Luna (esatto) e a Giove in Ariete, sinonimo di grandezza, riuscita, voglia di ergersi, di riscattarsi, sopportando grandi pesi che avrebbero prostrato chiunque ma che a lui davano ancor più lo stimolo a fare, a migliorarsi, accogliendo la sfida del destino. La cosa è suffragata anche dalla donizettiParte dell’Arte (AS + Venere – Mercurio) a 26° 19’ del coriaceo e caparbio Capricorno e dalla stretta congiunzione tra la Parte di Fortuna (AS + Luna – Sole) a 08° 45’ dell’Ariete e la Parte del Successo (AS + Parte di Fortuna – Parte del Sole) a 08° 35’ sempre dell’Ariete, tutte e due peraltro congiunte a Luna e Giove.
Certo, abbiamo visto che il suo operato spesso e volentieri era soggetto a critiche, a volte anche pesanti, dovendo districarsi tra invidie e accuse le più varie, ma se consideriamo che ha la Parte del Lavoro (AS + Luna – Saturno) a 05° 27’ della Vergine e la Parte dei Nemici (AS + Cuspide XII Casa – Governatore XII Casa) a 01° 04’ Vergine, la cosa non desta certo meraviglia.

Per quanto riguarda gli asteroidi presenti nel Tema di Donizetti abbiamo indirizzato la nostra attenzione principalmente su quelli che si trovano congiunti agli angoli del cielo o a pianeti personali; questo non vuol dire che gli altri aspetti non abbiano la loro importanza, solo che una prima e importante scrematura interpretativa può essere fatta concentrandosi sull’aspetto di congiunzione il quale ci permette già di delineare un quadro pressoché parlante del loro impatto espositivo.
Nel Tema di Donizetti troviamo i seguenti asteroidi:

(212) MEDEA
(111) ATE
(128) NEMESIS
(258) TYCHE
(1866) SISYPHUS

Iniziamo da (212) MEDEA, che troviamo collocato a 29° 57’ della Vergine, in pratica congiunta al Medio Cielo.

Il nome dato all’asteroide fa riferimento alla figura mitologica di Medea, figlia di Eete, re della Colchide, e nipote della maga Circe, dotata anche lei di magici poteri. Eete era colui che custodiva il famoso Vello d’oro. Quando Giasone arrivò per prenderselo Medea lo aiutò con la sua arte magica a superare tutte le prove, ciò che gli permise di conquistare il Vello d’oro. Fuggì poi con Giasone, diventando sua moglie. Poco tempo dopo però Giasone l’abbandonò per sposare la figlia del re di Corinto, Creusa, atto quanto mai sconsiderato che non teneva di conto il fatto che Medea era dopo tutto una maga e anche assai vendicativa; apparsa sotto false spoglie a Creusa le donò una veste stregata che si incendiò appena venne indossata dalla fanciulla; per rendere più spietata la sua vendetta uccise anche i due figli avuti da Giasone.

Medea è un personaggio intenso, inquieto, drammatico, continuamente coinvolto in questioni dove la morte, la tragedia, la passione, la vendetta hanno un peso rilevante, e però dotato di una grande forza reattiva. È un personaggio capace di amare, di sopportare grandi sfide per amore o per passione, vòlto anche a grandi cose, grandi imprese, con una non comune abilità sociale, con un fascino non da poco, con una creatività non da poco. È certo che l’asteroide che ne porta il nome simpatizzerà con queste caratteristiche facendole proprie, ed ecco che allora la congiunzione di (212) MEDEA al Medio Cielo si rivela qui parlante, calzante, con la passione creativa che viaggia di pari passo con le tragedie familiari patite, con l’angoscia, passione che però prende forza proprio da questo, indicando ciò una forte capacità reattiva.


Il secondo asteroide che incontriamo è (111) ATE, che qui troviamo a 28° 44’ Bilancia, in esatta congiunzione a Marte.

Prende il nome da Ate, figlia di Zeus e di Eris, la Discordia. Il nome Ate viene tradotto come “accecamento”. Era la dea dell’illusione, dell’inganno, della cieca follia.

L’asteroide che ne porta il nome ha come suo “effetto astrologico” quello di creare situazioni nelle quali la gelosia, le critiche, le avversioni hanno un loro impatto, più o meno forte, nella vita della persona. In alcuni casi può anche creare problemi nervosi o preparare il terreno per disturbi interessanti la capacità mentale (ovviamente con tutte le sfumaure del caso a seconda del terreno astrale trovato). Il fatto che (111) ATE si trovi qui congiunto a Marte fa pensare ad un suo impatto abbastanza forte, pur Marte, e quindi l’asteroide, non ricevendo nessun aspetto dinamico, anzi, essendo i due in trigono a Plutone; tuttavia siccome Marte e Plutone sono i signori dello Scorpione, il fatto che (111) ATE sia in aspetto a detti governatori rende possibile la manifestazione delle cose ascritte all’asteroide, in principal modo le gelosie e le critiche; da notare che uno dei suoi più acerrimi denigratori, lo scrittore Stendhal, aveva l’Ascendente in Scorpione e dava il suo Marte in congiunzione a Sole e Ascendente di Donizetti.


Il terzo asteroide che troviamo è (128) NEMESIS, qui a 05° 00’ del Sagittario, quindi in congiunzione a Mercurio.

Il nome fa riferimento a una divinità preolimpica, Nèmesi, figlia di Oceano e della Notte. Era la dea della giustizia e della vendetta e perseguitava coloro che, baciati dalla fortuna, non facevano buon uso dei doni che avevano ricevuto in sorte, non aiutavano gli altri, chi stava peggio. In pratica, tormentava chi non rispettava le regole.

In ambito astrologico l’asteroide si presenta come un elemento che leghiamo, in special modo nelle sue posizioni dinamiche, al plagio, al defraudamento, all’inganno: a chi conosce le opere di Donizetti gli potrebbe venire alla mente che il Nostro scrisse un dramma giocoso dal titolo Il felice inganno e credere che possa esserci un qualche strano collegamento fra le due cose; pur essendo ciò intrigante non è questa la riflessione che dobbiamo fare; semmai più ragionevole pensare a quelle accuse di plagio che, seppur indirettamente, patì riguardo la sua Lucrezia Borgia.
Ma l’asteroide (128) NEMESIS ha altri “meriti”, e cioè che rende le caratteristiche del pianeta con il quale si trova congiunto (o in buon aspetto) quelle per cui il soggetto è conosciuto e riconosciuto, diventando esse il regalo che Nèmesi fa all’individuo, la base del suo successo; nel nostro caso, essendo questo pianeta Mercurio, possiamo pensare a successo negli scritti e più specificamente nella scrittura orchestrale che, essendo il pianeta in Sagittario, si avvale, si appoggia e fa suo quello che è il motto del Segno: “Vedo la mèta. La raggiungo e ne vedo un’altra”, vestendosi così di quella frenesia, sveltezza e rapidità che hanno contraddistinto il lavoro di Donizetti.


Il quarto asteroide che incontriamo è (258) TYCHE, qui a 06° 46’ del Sagittario, quindi a soli 50’ dal Sole.

Prende il nome da Tyche, personificazione della fortuna, o meglio, del caso, della sorte. Tyche era anche il nome di una dea, figlia di Zeus, che aveva il potere di decidere, a seguito non di un giudizio ma di un capriccio, quale sarebbe stata la sorte dei comuni mortali: di essa si diceva che correva qua e là facendo rimbalzare una palla per dimostrare che la sorte è cosa incerta. Altra sua immagine, più tarda, la vede con una cornucopia fra le braccia, simbolo di prosperità. Nella mitologia romana il suo corrispettivo era la dea Fortuna, dea del caso e del destino.

In ambito astrologico (258) TYCHE ha il “compito” di aiutare il soggetto, di fargli trovare sul suo cammino persone che gli danno una mano, che lo traggono d’impiccio, che lo sollevano, che l’aiutano a riscattarsi: se pensiamo a quanto fece Giovanni Simone Mayr per Donizetti abbiamo una piccola ma importante dimostrazione del peso di questo asteroide. Certo, (258) TYCHE si ritrova ad avere altre prerogative, meno, diciamo così, fortunate, e cioè che non sembra aiutare nel campo affettivo/relazionale, creando (quando più quando meno a seconda del Tema) alcuni problemi in ambito di coppia, ovvero il soggetto che si sposa in tarda età o, se lo fa in giovane età, che rischia di vivere situazioni pesanti (spesso volute) e comunque poco gratificanti in ambito coppia, pur rimanendo inalterato il discorso “aiuto” (in qualsiasi modo esso venga manifestato) che può ricevere dal partner.


L’ultimo asteroide è (1866) SISYPHUS che troviamo a 10° 03’ Sagittario, in congiunzione all’Ascendente.

Il nome si riferisce a Sisifo, figlio di Eolo dio dei venti. Era considerato il più furbo e astuto fra gli uomini. Si racconta che Sisifo fu testimone, suo malgrado, del rapimento di Egina, figlia del dio fluviale Asopo, da parte di Zeus che di lei si era invaghito. Poco dopo incontrò Asopo che, alla disperata ricerca della figlia, gli chiese se avesse visto passare una fanciulla. Sisifo gli disse che lui poteva dargli l’informazione che cercava ma in cambio il dio fluviale avrebbe dovuto far scaturire una sorgente per la sua città, Corinto. Il dio accettò e Sisifo gli raccontò tutto. Così facendo, però, si attirò l’ira di Zeus che non sopportava certo gli spioni. Fu così che Zeus gli mandò Tanato, la Morte. Ma quando ella arrivò da Sisifo questi, con uno stratagemma e imbambolandola con chiacchiere a non finire, riuscì a legarla ad un palo.
Successe così che nel mondo nessuno più moriva, e la cosa fece andare su tutte le furie in special modo Ares, dio della guerra, il quale intervenne e riuscì a liberare la Morte consegnandole Sisifo.
Ma il furbo Sisifo riuscì, prima di andarsene agli Inferi, a parlare segretamente con sua moglie alla quale disse di non seppellire il suo corpo. Arrivato al cospetto di Ade, Sisifo gli disse che qualcuno, ignorando i normali precetti funerari, non lo aveva seppellito e che quindi doveva ritornare sulla terra per far sì che adempisse a tale ufficio. Ade si persuase e lasciò libero Sisifo di tornare sulla terra, dicendogli però che dopo tre giorni sarebbe dovuto ritornare agli Inferi. Sisifo ringraziò e se ne tornò da sua moglie, ma i tre giorni passarono, i mesi anche, e Sisifo non si sognava minimamente di ritornarsene agli Inferi.
Si racconta che l’astuto Sisifo morì poi di vecchiaia, molto in là nel tempo, ma che la punizione per lui era già lì pronta che l’aspettava: per aver osato sfidare gli dèi, per averli presi in giro, Zeus decise che Sisifo avrebbe dovuto spingere un macigno dalla base alla cima di una montagna; e però, ogni volta che Sisifo raggiungeva la cima, il masso inesorabilmente rotolava di nuovo alla base del monte.
Per l’eternità, ogni volta, Sisifo avrebbe dovuto ricominciare daccapo la sua scalata.

Ecco il “sisifo” dell’opera italiana, il lavoratore alacre, dinamico e instancabile, costretto quasi dal destino a scrivere e comporre, pronto a revisionare anche le proprie partiture, a cambiarle, riadattarle, stralciarle, in un turbinio di creatività che non conosceva soste. Un lavoro continuo, duro, incessante, a volte estenuante, spaziando dalla musica strumentale da camera alla musica sacra, dall’opera comica a quella tragica.
Vedo la méta. La raggiungo e ne vedo un’altra”, appunto.


Per maggiori informazioni e approfondimenti sul significato degli asteroidi mi permetto di rimandare al mio “Dizionario degli Asteroidi”, Capone, Torino 2012 (vedi presentazione), dove sono stati monitorati 153 asteroidi ognuno spiegato dal lato astronomico, mitologico e ovviamente astrologico, così da poterli comodamente utilizzare nel proprio o altrui Tema natale.


[1] Tratto dal sito personale di Maurizio Tagliabue che ringrazio per l’assenso dato alla pubblicazione.

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