Il mito di Adapa di Eridu o il Quadrato di Pegaso

Il mito di Adapa di Eridu o il Quadrato di Pegaso
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Un mio articolo pubblicato nella rivista “Linguaggio Astrale” n.89 – Inverno 1992


Nel 1887 a Tell el-Amarna (o Ankh Atun, sulla riva destra del Nilo, non lontano, seppur sull’altra riva, da Ermopoli, la città sacra a Thot), furono ritrovate, nei resti dell’archivio di Amenofi III (che regnò dal 1408 al 1372 a. C.) e di Amenofi IV (o Akhenaton, e che regnò dal 1372 al 1354 a.C.), alcune copie frammentarie relative a vecchi miti di epoca kassita (popolazione di origine iranica dominante la Mesopotamia del XVI secolo a.C.) usati come testi di esercizio nelle scuole degli scribi del faraone: tra questi, citiamo i miti di Nergal ed Ereshkigal (rispettivamente dio e dea della vegetazione) e quello, appunto, di Adapa di Eridu.

Consideriamo comunque che il mito di Adapa sembra essere molto più antico dell’epoca kassita, e rientra in quelle storie i cui protagonisti sono figure prometeiche semidivine che sfiorano la conoscenza dell’immortalità.
Altre tracce su Adapa provengono dalla biblioteca del re assiro Assurbanipal (secolo VII a.C.) e, cosa interessante e che avvalora la parte finale della narrazione del mito, su una ricetta medica dell’epoca, vedendosi quindi Adapa come dispensatore di salute (in questo protetto dalla dea Ninkarrak).
Dice Theodor Herzl Gaster (1906-1992), studioso inglese di letteratura primitiva:

Adapa non è un essere umano; soltanto su questa base, peraltro chiaramente indicata nel testo originale, la storia diviene intellegibile […]. Così possiamo in primo luogo comprendere come Adapa possa essere in possesso di una formula magica abbastanza potente da spezzare l’ala del vento, come pure possiamo comprendere il reale significato implicito nella decisione del Dio Supremo, allorché Adapa è condotto al suo cospetto per essere giudicato. Quando il Dio si convince che Adapa ha realmente agito mosso da riverenza e devozione, si decise a conferire l’immortalità e di conseguenza gli offre il cibo e la bevanda degli dèi, consumando le quali automaticamente Adapa diverrebbe Dio. Ma è precisamente questa eventualità che l’astuto Ea (in sumero Enki) ha previsto. Ea non desidera che la propria creatura venga trasferita nella schiera degli dèi, poiché in tal modo verrebbe privato dei suoi servigi. Ecco perché Ea convince Adapa a rifiutare il cibo offertogli, affermando che si tratta di un cibo letale[1].

Ma veniamo alla descrizione del Libro di Adapa così come ci viene dalla traduzione fatta da Gaster.


Il Libro di Adapa di Eridu

Ea, Signore della Sapienza e della Saggezza, decise una volta, per gioco, di creare una creatura che avesse l’aspetto di un uomo e la saggezza degli dèi. Scese dunque sulla Terra e nella sacra città di Eridu dette forma ad un essere cui pose il nome di Adapa. Tanto saggio era questo essere, che nulla, né in cielo né in terra, poteva sfuggire alla sua comprensione. Quando apriva bocca, era come se parlassero gli dèi stessi e nessuno poteva contraddire le sue parole. Non c’erano arti o mestieri nei quali non fosse maestro: sapeva impastare il pane come il panettiere, pescare come il pescatore e cacciare come il cacciatore. Ed era altrettanto buono quanto era saggio. Puro, onesto, pio, osservava tutte le leggi degli dèi e ogni sera, prima di coricarsi, si faceva premura di fare un giro in città e controllare che tutte le porte fossero chiuse, così che ognuno potesse riposare tranquillo.

Un giorno Adapa uscì in cerca di pesce per il pranzo del suo padrone Ea, ma si era appena allontanato dalle sponde che il cielo si fece livido, e, sopra il suo capo, ecco apparire il grande spirito dell’uragano, sotto forma di enorme uccellaccio che spazzava le acque con le ali gigantesche, rendendole agitate e tempestose. Su e giù oscillava la piccola barca, sballottata di qua e di là, finché un potente soffio di vento la investì e la rovesciò, e Adapa si trovò a dibattersi nell’acqua, in mezzo ad un branco di pesci. Agitando la mano contro l’uccello, Adapa pronunciò questa solenne invettiva: “Uccellaccio della tempesta, per questa tua malvagità io farò sì che ti si spezzi l’ala!“. Tanto potente fu la sua invettiva che non appena l’ebbe pronunciata l’ala dell’uccello si spezzò. Per sette giorni non un alito di vento soffiò sulla terra, e il mare era piatto come una tavola.

Quando il Dio vide che il vento aveva cessato di soffiare, chiamò a se Ilabrat, l’alato messaggero del cielo: “Perché – domandò – il vento ha cessato di soffiare?“; “Signore – rispose il messaggero – la creatura che Ea ha creato gli ha spezzato un’ala“. A queste parole Dio si adirò, e alzandosi dal trono ordinò che quel miscredente fosse condotto alla sua presenza.

Ma Ea, il Saggio, il quale conosce tutti i segreti del cielo e al quale nulla può essere celato, subito accorse in aiuto del suo servitore:

Adapa – disse Ea – sciogliti i capelli, cospargiti di cenere il capo e vestiti di stracci; quando avrai raggiunto la porta del cielo vi troverai di guardia due sentinelle: sono gli dèi Tammuz e Ghishzida, i due possenti Signori della fertilità che sparirono dalla terra durante la torrida estate. Scorgendoti, ti chiederanno quale ragione ti conduca, ridotto in uno stato così pietoso, alla porta del cielo. ‘Due dèi sono scomparsi dalla terra – tu dovrai rispondere – e io sono venuto a piangere e a implorare per loro la misericordia divina’. Con queste parole vincerai i loro cuori, ed essi verranno in tuo aiuto e difenderanno la tua causa dinanzi al Giudice divino. Allora l’ira di Dio si placherà, ed egli comanderà che cibo e bevande vengano imbandite dinanzi a te. Ma tu non dovrai assaggiare quel cibo, perché sarà cibo di morte, e non dovrai bere quell’acqua, perché sarà acqua di morte. Ricorda bene queste mie parole! Non le dimenticare!

Adapa fece dunque ciò che Ea gli aveva detto: si sciolse i capelli, si cosparse il capo di cenere e si vestì di stracci. Ed ecco giungere il messaggero di Dio: “Adapa – disse – è accusato di aver spezzato l’ala dell’uccello delle tempeste. Venga egli dunque condotto a giudizio!“. Così Adapa fu consegnato nelle mani del messaggero per essere condotto dinanzi alla corte siderale. Quando giunse alla porta del cielo, trovò due guardiani, proprio come aveva detto Ea: “Altolà – gridarono sbarrandogli il passo – che cosa ti porta alla corte siderale ridotto in tale maniera?“. Ma Adapa fu pronto a rispondere: “Due possenti dèi sono scomparsi dalla terra. Sono venuto a piangere e a implorare per loro la misericordia divina“. “E chi sono questi dèi?“, chiesero le sentinelle. “Tammuz e Ghishzida“, rispose Adapa. A queste parole i guardiani si intenerirono, parlarono affabilmente con Adapa, e lo introdussero alla presenza di Dio. Allora Dio sorse dal trono e con voce forte e terribile disse: “Adapa, avanza e rispondi! Perché hai spezzato l’ala dell’uccello delle tempeste?“. Ma Adapa non si turbò, e rispose con calma:

Signore, la cosa è andata così: Ea, il mio Signore della Sapienza, mi ha fatto più saggio di tutti gli uomini e mi ha rivelato i segreti siderali e della terra. Io lo ringraziavo, perciò, procurandogli il cibo quotidiano. Un giorno mi avventurai nell’oceano per cercargli pesce. Quando calai in mare la barca, il mare era calmo come uno specchio, e neppure un’onda increspava la sua distesa. Ma d’improvviso l’uccello delle tempeste venne roteando, agitò e sconvolse le acque in tal modo che la mia nave fu rovesciata e il mio padrone rimase senza cibo. Per questo io, preso da cieca ira, scagliai contro di lui un’invettiva così potente che l’ala dell’uccello fu spezzata.

Mentre Adapa parlava, Dio lo scrutava attentamente, e non sapeva se prestar fede o no alle sue parole. Ma quando Adapa ebbe terminato il racconto, ecco Tammuz e Ghishzida avanzarsi e inchinarsi davanti al trono siderale:

Signore Dio – essi dissero – Adapa dice il vero. Egli non è un empio mentitore, bensì uno che ama e onora gli dèi e si preoccupa del loro bene. Infatti, vedi, anche ora che la sua vita è in pericolo, egli si è presentato davanti a te con i capelli sciolti e con le vesti a lutto a piangere per noi e a invocare la tua grazia. Ti imploriamo, o En, non considerare la sua azione un misfatto e non lo condannare!

A tali parole, l’ira di Dio si placò e il suo cuore si intenerì:

Adapa – disse rivolgendosi agli dèi che gli stavano intorno – è scagionato da ogni colpa e non verrà punito. Inoltre, poiché Ea ha creato Adapa uguale agli dèi, nonostante il suo aspetto sia quello di un mortale, d’ora innanzi egli avrà il rango di Dio! Offritegli dunque cibo e acqua affinché possa mangiare e bere come noi, e diventare in tal modo uno di noi!

Ma quando posero dinanzi a lui cibo e acqua, Adapa si sovvenne delle parole di Ea, e non volle né mangiare né bere. “Ah! – disse Dio sorridendo tra sé – Adapa dopo tutto è un uomo, ottuso, sciocco, irragionevole, giacché rifiuta il ciboe la bevanda che lo renderebbe immortale!“. Quindi, volgendosi ai suoi servi: “Portatelo via – comandò – e fatelo ritornare sulla terra!

Ma Dio è comprensivo e generoso, e si sovvenne dell’onestà di Adapa e del suo rispetto e della devozione con cui si era presentato al suo cospetto: “Adapa – disse allora affabilmente – sebbene tu debba ritornare ora sulla terra, nondimeno avrai la tua ricompensa“.

E Dio gli rivelò tutti i misteri siderali e tutta la sua gloria e il suo splendore. Quindi, alzatosi dal trono, così decretò:

Sebbene Adapa debba ora ritornare sulla terra, egli non andrà soggetto alle malattie dei mortali. La potente Ninkarrak, la Signora della salute, sarà sempre al suo fianco. Qualora la peste gli venisse accanto, essa ne svierà il cammino; qualora la sventura si dirigesse verso di lui, essa le precluderà il passo; qualora egli fosse triste, angosciato e insonne, essa gli procurerà calma e riposo. E inoltre, Adapa sarà dominatore di uomini, i suoi eredi regneranno in eterno, e la città di Eridu, dove egli vive, non pagherà tributi ad alcun mortale!

E così fu e così è ancora oggi. Perché i figli di Adapa siedono ancora oggi sul trono, e la città di Eridu non paga tributi a nessuno.


Commento

Quanto detto ci mette di fronte a quelle tipiche figure prometeiche, semidivine, create dagli dèi ma poi da questi, per i più svriati motivi, “declassate” a rango di semplici mortali, costrette a vivere la vita di uomini e a patire tormenti.
Sappiamo che lo svolgersi delle vicende mitiche “ama mascherarsi dietro a particolari apparentemente oggettivi e quotidiani, presi in prestito da circostanze risapute“, nascondendo quello che è invece il vero campo di azione degli avvenimenti mitici, cioè il cielo, cioè la fascia dell’eclittica, “la vera terra dove si svolgono tali avvenimenti, il luogo dove si compiono i grandi peccati e le imprese eroiche[2].

Come detto, Adapa è Signore (En) di Eridu; ai fini di una corretta decifrazione del mito qui preso in esame, crediamo opportuno prendere in considerazione quello che è il luogo in cui Enki/Ea dette forma ad Adapa, e cioè la città di Eridu.
I babilonesi identificarono la città di Eridu con il misterioso “pi-narati“, alla lettera “la bocca dei fiumi” (ma il suo significato è la “confluenza” dei fiumi). Ora, il sito archeologico di Eridu non si trova affatto vicino alla confluenza dei due fiumi della Mesopotamia: si trova invece tra il Tigri e l’Eufrate, che sfociano in mare separatamente, ed è inoltre piuttosto a monte (ciò non toglie niente al mito acquatico delle origini di Eridu, essendo infatti la città circondata da enormi laghi alimentati da una considerevole riserva di acqua dolce sotterranea). L’impasse sembrerebbe stata risolta da W.F.Albright, che al posto di “foce” mise “sorgente”, il che, però, ci ha portati tra i monti dell’Armenia (!), ciò che non si può dire abbia risolto il caso!
Come si vede (e comunque per quanto ci riguarda), Eridu pi-narati non può avere un mero significato geografico: Eridu simboleggiava la “confluenza dei fiumi“, topos della massima importanza ove i grandi eroi si recavano in pellegrinaggio nel vano tentativo di conquistare l’immortalità.

Eridu era la sede, come detto, di Enki/Ea, il Saturno mesopotamico (altri intendono invece Ninib), il “Signore delle misure” (denominate “me” in sumerico, “parsu” in accadico, “ma’at” in egiziano); quando Saturno decadde, infatti (cioè quando finì l’Età dell’Oro), la sua dimora venne posta in prossimità del Polo Sud celeste, e in particolare su Canòpo, stella principale della Costellazione della Carena, seconda per luminosità solo a Sirio, costellazione che assieme a quella della Vela e della Poppa forma quella della Nave d’Argo, la nave degli Argonauti: Canòpo era il timoniere di detta nave.

Quindi, come anche stabilito da B.L. van der Waerden, autorevole studioso della storia dell’astronomia, Eridu, il sumerico “mul NUN ki“, è Canòpo.
In Mesopotamia, Canòpo ha il nome di “Stella-giogo del mare” (invece la “Stella-giogo del cielo” è il Drago).
Ora, si dice che prima della creazione tutte le terre fossero mare; poi, venne fatta Eridu, venne costruito l’Esagil (pietra cubica, simbolo di Saturno e/o unità di misura): nella tavoletta cuneiforme catalogata sotto il numero K 3476, e che tratta della festa del Capodanno babilonese, si legge che il sacerdote Urigallu “uscirà sino all’Eccelso Cortile, si volterà verso Nord e benedirà il Tempio Esagil tre volte con la seguente benedizione: Stella-iku, Esagil, immagine del cielo e della terra“.

È qui menzionata la parola “iku“: ebbene, 1-iku rappresentava l’unità di misura fondamentale di superficie agraria (equivalente a circa 3600 m²); questo può anche non significare nulla se non sapessimo che la stessa unità (1-iku) rappresentava il quadrato formato dalle stelle della Costellazione del Pegaso, alfa, beta, gamma e delta Pegasi (da considerare che la delta Pegasi è condivisa con Andromeda, della quale rappresenta la stella alfa), costellazione racchiusa dai Pesci e che reggeva il solstizio invernale durante l’Era dei Gemelli (6000-4000 circa a.C.), e che lo studioso Arthur Ungnad intese come il Paradiso, cioè il “Campo Primordiale”!

(nella figura sotto riprodotta, ricostruita sulla base dei testi astronomici mesopotamici ed estratta dal libro “Il mulino di Amleto”, ed. Adelphi, Milano 1983, vediamo, racchiuso dai Pesci, il “Quadrato di Pegaso”).

Adapa_2

Da notare che nei pressi di questo “quadrato stellare” abbiamo la nebulosa a spirale NGC 7331 e l’ammasso globulare M 15.
Consideriamo altresì che “1-iku”, oltre ad essere il nome con il quale si disegnava il Quadrato di Pegaso, era anche il nome del Tempio di Marduk in Babilonia: ora, Marduk era il pianeta Giove, pianeta che, guarda caso, sorgeva eliacamente assieme al “quadrato di Pegaso”: il sorgere eliaco di 1-iku (per essere più precisi, di beta Pegasi, cioè la stella Scheat) coincideva con il solstizio invernale del 4000 a.C.; il “quadrato di Pegaso”, infine, viene detto “l’abitazione della divinità Ea, il capo delle stelle di Anu“.

Quindi, ricapitolando quanto finora detto, se consideriamo che Eridu è Canòpo e che l’Esagil è “1-iku”, cioè il quadrato formato dalle stelle alfa Pegasi (Markab), beta Pegasi (Scheat), gamma Pegasi (Algenib) e alfa Andromeade (Alpheratz o Sirrah), e che in questo quadrato di stelle alcuni vi hanno visto il “Paradiso” o “Campo primordiale”, ecco che la collocazione del mito di Adapa diventa una collocazione siderale, cosmica, rientrante comunque in quelli che sono i “miti della creazione”.

Adapa_3(a fianco, la stessa costellazione secondo l’orientalista tedesco Arthur Ungnad (1879-1945)).

Enki/Ea, Signore del Profondo, Dio dell’Oceano, delle acque sotterranee e delle sorgenti (quelle che alimentavano i grandi laghi intorno a Eridu) e dunque della fertilità, si reca nel “Campo di Pegaso” e lì dà vita ad un essere che non è né uomo né dio eppure pare e l’una e l’altra cosa: Adapu.

Consideriamo che Adapa, nel mito, viene detto “sapientissimo tra gli Anunna“: erano, questi, esseri divini degli “inferi”, il cui nome sumerico Anunna (A-NUN-NA-NUN ki) viene interpretato come “[dèi che sono] il seme del Principe“, ove “Principe” (NUN) è appunto Enki/Ea di Eridu.
Alcuni hanno visto Adapa come il capo di questi “seminatori”, i quali venivano impiegati dagli dèi per “seminare” la vita, e comunque per coordinare quella che era stata la creazione fatta dagli dèi, ovvero per gestirla e comunque perpetuarla in mezzo agli uomini.
Da questo punto di vista il mito di Adapa di Eridu diventa un mito cosmologico legato allo svolgersi delle varie tappe della creazione, e comunque diventa una delle molte allegorie circa i grandi “Miti della Galassia”.

E se così è (consentiteci questa digressione), perché non vedere Adapa come uno dei tanti “luogotenenti galattici” preposti al controllo di certe aree della Terra, e poi richiamato al cospetto del “Comando Supremo” perché in un eccesso d’ira (e chissà con quali mezzi!) per poco non provocò un disastro nell’ecosistema terrestre (“l’ala spezzata del vento del Sud”, che così smise di soffiare)?

D’altronde, come dicevamo, le vicende narrate nei miti amano nascondersi dietro a particolari quotidiani, apparentemente comuni e/o di poco conto, in tal modo traducendo e reinterpretando certe verità che, altrimenti, mai verrebbero comprese dalle umane creature.


[1] T. Gaster, Le più antiche storie del mondo, Mondadori-Einaudi, Verona 1971.
[2] G.de Santillana e H.von Dechend, Il mulino di Amleto, Adelphi, Milano 1983.

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