Un monaco-astrologo molto scomodo

Un monaco-astrologo molto scomodo
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Il 1° aprile 1631 papa Urbano VIII (al secolo il fiorentino Maffeo Barberini) licenziò una bolla anti-astrologi, la “Inscrutabilis iudiciorum Dei altitudo”, che in pratica rinnovava, rendendola però più dura, la precedente bolla contro l’astrologia giudiziaria di Sisto V (la “Coeli et terrae Creator” del 5 gennaio 1586).

Qui Urbano VIII si scagliava in primo luogo contro chi attentava alla vita del papa (o ne danneggiava il ministero) utilizzando arti magiche e/o facendo previsioni astrologiche sul giorno della sua morte, col risultato di andare a influenzare i delicati equilibri della politica pontificia e creando confusione nei vari alleati del papa.

Consideriamo però che Urbano VIII dava moltissimo credito all’astrologia (come del resto tutta la famiglia Barberini), ma forse proprio per questo si era risolto a difendersi con tale atto (nel suo supposto Tema natale – domificazione Placido – Luna e Marte sono congiunti in XII Casa (quella dei nemici nascosti), mentre la Parte dei Nemici è congiunta all’Ascendente).

Ma difendersi da chi o che cosa? E perché addirittura una bolla contro chi faceva previsioni astrologiche sulla morte del papa?

Per saperlo dobbiamo fare un passo indietro e parlare di colui che diverrà il protagonista e principale responsabile di quella decisione papale, don Orazio Morandi (1570 ca.-1630).
Monaco benedettino vallombrosano, astrologo, uomo di vasta cultura, interessato alla politica, amico di Galileo Galilei, don Morandi «fu ornato di molte virtù e particolarmente di astrologia e stimato da molti principi e cardinali»[1].

Il 10 novembre 1590 prese gli ordini benedettini nel monastero di Vallombrosa, località poco distante da Firenze. Fu in stretto contatto con la famiglia Medici e soprattutto con don Giovanni de’ Medici (1567-1621), figlio naturale del duca Cosimo I, architetto ed esperto di alchimia, cabala e astrologia: si scambiavano spesso opinioni e appunti su temi astrologici e alchemici, con Giovanni che sovente si avvaleva della perizia astrologica di Morandi, come quando gli chiese di stendere il Tema natale per la sua compagna, la genovese Livia Vernazza[2].

Nel 1613, grazie anche al favore della famiglia Medici, divenne abate del monastero di Santa Prassede a Roma.
Ben presto quel monastero divenne, sotto il suo impulso, un famoso, frequentatissimo e influente circolo esoterico, luogo di ritrovo e di convegni per quanti si interessavano di astrologia, di alchimia ma anche di politica. Qui Morandi, attorniato dai suoi innumerevoli libri (aveva una biblioteca fornitissima e frequentatissima da intellettuali e prelati), non solo redigeva oroscopi ma studiava assiduamente astrologia con piglio quasi scientifico, catalogando e archiviando numerose date di nascita divise per sesso, lavoro, tipo di morte, ecc.

Nel 1617 ritornò al monastero di Vallombrosa con la carica di Abate Generale (17 aprile), ufficio che tenne per quattro anni. Nel 1626 venne trasferito di nuovo a Santa Prassede a Roma, dove continuò a tenere aperto quel circolo intellettual-politico-esoterico cui aderivano varie personalità.

In una lettera indirizzata Galileo Galilei, che in quel tempo si trovava a Roma per tentare di ottenere l’imprimatur al suo “Dialogo”, invitava l’amico a Santa Prassede:

Molto Ill.re S.r.mio Oss.mo.
Domenica prossima della Santissima Trinità sto attendendo esser favorito da V. S. a far penitenza quassù a S.ta Prassedia, dove sarà il P. Consultore, Maestro Lodovico Corbusio, già Inquisitore di Firenze, et il P. Visconti, compagno del P. Rev.mo Maestro di Sacro Palazzo. Non occorrerà che s’incomodi di rispondere, ma prepararsi a venire, aspettandola infallantemente; e le bacio affettuosamente le mani.
Di S.ta Prassedia, il dì 24 Mag. 1630.
[3]

Si può pensare che mettersi a parlare di stelle e pianeti assieme a personaggi legati all’Inquisizione non sia certo il massimo, se non sapendo che quel P. Visconti citato nella lettera è il domenicano Raffaele Visconti, professore di matematica che ebbe poi l’incarico di rivedere il manoscritto del “Dialogo” che poi approvò con alcune correzioni e che tra l’altro era un eminente astrologo ascoltatissimo da Morandi e non solo.

Astrologia e potere, astrologia e politica, sono andate spesso a braccetto insieme, ma nella Roma barocca l’astrologia s’era ritrovata a dover forzatamente convivere con i più biechi giochi di potere; in special modo personaggi poco raccomandabili o interessati (soprattutto alti prelati), come il potente domenicano Niccolò Ridolfi o il cardinale spagnolo Gaspare Borgia, s’erano addentrati in loschi intrighi ai danni del papa e del suo potere, e se l’astrologia poteva dar loro una mano – pensavano – che ben venisse anch’essa nel novero di quegli strumenti atti allo scopo, come i magici cerimoniali negromantici di Giacinto Centini e di fra Bernardino da Montalto a cui i due prelati spesso ricorrevano.

Tutto questo, direttamente o indirettamente, sembrava avere come “centro direttivo” (o almeno così veniva detto) il circolo intellettual-politico-esoterico di Santa Prassede, e fu così che per spezzare la cerchia degli intrighi l’adiratissimo papa Urbano VIII, il 13 luglio 1630, fece arrestare don Orazio Morandi con false accuse legate a supposti eventi immorali accaduti nella basilica romana ma in sostanza per aver stilato, lui e altri, l’oroscopo del papa e aver predetto che sarebbe dovuto morire proprio in quell’anno, previsione che, vista l’alta reputazione astrologica della quale godeva Morandi, aveva fatto arrivare a Roma addirittura alcuni cardinali spagnoli convinti che di lì a poco ci sarebbe stato il conclave per l’elezione del nuovo pontefice. Sottoposto a processo, venne riconosciuto colpevole, condotto nella prigione di Tor di Nona e torturato.

Il processo a don Orazio Morandi vide coimputati un numero incredibile di ecclesiastici: anche il domenicano Raffaello Visconti venne processato (pure lui aveva steso l’oroscopo del papa contemplandone la morte), ma ne uscì quasi indenne (venne bandito da Roma) grazie a un sotterfugio, cioè fece suo un oroscopo del papa steso da Tommaso Campanella dove invece si dimostrava la falsità delle previsioni mortifere, almeno stando a una lettera dello stesso Campanella che questi inviò a Urbano VIII anni dopo quegli eventi ricostruendone i fatti: «e quando questo Rafael fu ritenuto come gli altri astrologi, fece per discolparsi un’altra natività di Vostra Beatitudine, e si servio delle ragioni mie, per dimostrar che non avea consentito, e sfuggir la galera»[4].

Galileo Galilei, rientrato nel frattempo a Firenze, chiese notizie del suo amico incarcerato a Vincenzio Langieri che in data 17 agosto 1630, da Roma, così rispose:

Qui ancora si dicono gran cose e si sentono molte ciarle intorno alla causa criminale della quale V. S. desidera esser ragguagliata; ma in sostanza passa con tanta secretezza, che niente si può affermar di sicuro: tuttavia dell’amico che lei accenna [cioè Orazio Morandi, N.d.A], se ben si è qualche poco imbrogliato nell’esamina, pare si possa sperar bene, riguardando alla retta intentione e natura del Principe, che senza gran causa non verrà a risolutioni straordinarie contro persona così qualificata […].[5]

Purtroppo il fatto di essere, Morandi, «persona così qualificata», non impedì il tragico epilogo: morì infatti in carcere, si dice avvelenato, il 7 novembre 1630.
Nelle vecchie carte del monastero di Vallombrosa (“Memorialis Monachorum Vallis Umbrosae”) si legge, a firma dell’abate don Diamante Rossi:

E questa fu la fine dell’Abate Morandi, uomo degnissimo nelle materie politiche, versatissimo nelle astrologiche […]. E veda ognuno quanto la professione astrologica sia fallace ed incerta poiché l’astrologo stesso non valse a prevedere la propria morte infelicissima e l’oscuro carcere[6]


[1] FRANCESCO SELMI, “Un particolare ignoto della vita di Galileo Galilei”; in: AA.VV, “Nel trecentesimo natalizio di Galileo in Pisa. XVIII febbraio MDCCCLXIV”, Tipografia Nistri, Pisa 1864, p. 41.
[2] G. ERNST, op. cit., p. 226.
[3] Lettera di don Orazio Morandi a Galileo Galilei in Roma scritta da Roma il 24 maggio 1630, in: ANTONIO FAVARO (a cura di), “Le Opere di Galileo Galilei. Edizione nazionale sotto gli auspici di Sua Maestà il Re d’Italia”, Volume XIV, Carteggio anno 1629-1632, n. 2016, p. 107, Tipografia Barbèra, Firenze 1890-1909.
[4]TOMMASO CAMPANELLA, “Opuscoli astrologici. Come evitare il fato astrale. Apologetico. Disputa sulle Bolle”, introduzione, traduzione e note di Germana Ernst, BUR, Milano 2003, p. 21.
[5] Lettera di Vincenzio Langieri a Galileo Galilei in Firenze scritta da Roma il 17 agosto 1630, in: ANTONIO FAVARO (a cura di), op. cit., n. 2048, pp. 134-135.
[6] F. SELMI, op. cit., p. 42.


Foto da: www.guidaroma.info

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