Religione e Spiritualità

Religione e Spiritualità
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Si dice che il Segno dei Pesci sia quello più vicino al concetto di misticismo. Perché? Perché in esso abbiamo Giove e Nettuno.

Ma li abbiamo anche in Sagittario, nono Segno analogico alla Nona Casa, così come i Pesci sono analogici alla Dodicesima Casa; queste due Case sono i luoghi “terrestri” di Giove e Nettuno, così come Sagittario e Pesci sono i loro luoghi “celesti”. Gli antichi chiamavano la Nona Casa “Dio”, così che la Dodicesima – utilizzando la tecnica delle Case Derivate – diventa la “casa di Dio”, dove abita Dio[1].
Giove e Nettuno, quindi, e possiamo vedere Giove come religione[2] e Nettuno come spiritualità.

Qualcuno obietterà che religione e spiritualità sono un po’ la stessa cosa. Non proprio: diciamo che sono due termini che, pur legati tra loro, indicano due concetti che guardano in due direzioni diverse – come i due pesci del Segno omonimo – o che “lavorano” su due livelli diversi: la religione parla di un dio e del legame[3] che una persona ovvero un popolo ha con esso e che si esprime in una serie di credenze, di pratiche e di riti.

Da parte mia ho sempre sentito le religioni, ovvero il legarsi a una divinità, come un punto che l’essere umano mette alla fine di un discorso che non sa come – o non può o non vuole – continuare: non potendo o non riuscendo a dare una risposta al “da dove viene tutto questo” ci si mette un punto – che chiamiamo Dio – e il discorso finisce lì.
Rimanendo in metafora posso dire che invece la spiritualità non è un punto messo a chiusura del discorso ma è un punto interrogativo che anela a diventare un punto esclamativo.

La spiritualità (Nettuno) ti aiuta a essere: essere in sintonia con l’universo, essere in fusione con il Tutto. La religione (Giove) ti porta ad avere: avere tranquillità, avere protezione, avere certezze. Essere e avere, insomma. Viene in mente l’omonimo libro del filosofo e psicanalista tedesco Erich Fromm[4] dove viene descritta la diversa modalità di approccio a un fiore e alla sua bellezza attraverso due composizioni poetiche, una del poeta inglese del XIX secolo Alfred Tennyson[5] e l’altra del poeta giapponese del XVII secolo Matsuo Bashō[6]: il primo, Tennyson, è l’Uomo “Avere”, che deve possedere il fiore quindi lo coglie e lo fa suo; il secondo, Bashō, è l’Uomo “Essere”, che si limita a guardarlo contemplandone la bellezza, godendo di questo e introiettando questa bellezza dentro se stesso per immaginare altri orizzonti.
Giove e Nettuno, insomma. Religione e spiritualità.

Il reverendo Paul Galea, direttore del Dipartimento di Teologia Pastorale della Facoltà di Teologia dell’Università di Malta, così scrive:

Il termine religiosità sottolinea l’aderenza che una persona ha a valori e pratiche proposte da un’istituzione religiosa e a prescrizioni rituali organizzate. La spiritualità, invece, ha le caratteristiche di una ricerca più aperta e libera; implica un senso di trascendenza non necessariamente identificato con Dio, un senso di universale unità con gli altri e con il mondo, una ricerca di significato che non richiede necessariamente una partecipazione e obbedienza a rituali o ad una dottrina codificata.[7]

Questa spiegazione di Galea su come possiamo intendere la religione e la spiritualità non fa una piega, come si suol dire, e la sottoscrivo.

Non mi sono mai accontentato delle risposte preconfezionate e frettolose in ambito religione: il mettere subito quel “punto” a chiudere il discorso mi sa troppo di resa. Non mi va di adorare un Punto. Non voglio che Dio sia un punto messo lì a chiudere il discorso; anzi: voglio che questo discorso me lo apra non che me lo chiuda, perché se me lo apre è spiritualità, se me lo chiude è religione.
D’altronde la religione è degli uomini, la spiritualità è di Dio. La spiritualità unisce, le religioni dividono, con tutti i danni poi che quest’ultime producono; ogni tribù, ogni popolo si è costruita la propria religione e ognuno si sente nel giusto: “la mia religione è più bella della tua”, “io sono nel giusto e voi siete gli infedeli”. Chissà perché poi gli stupidi sono sempre gli altri. Sono gli altri che sono infedeli; sono gli altri che non hanno la giusta religione; “la mia è meglio della tua”; “dio è con me”; “il mio dio è meglio del tuo”. Come da bambini, quando litigavamo coi nostri coetanei e dicevamo: «Ora chiamo mio babbo e vedi quante te ne dà»; oppure, per farci grandi: «Il mio papà è più bravo e più forte del tuo».

Da giovane credevo nella nostra capacità di migliorare, nella nostra bontà, poi col crescere mi sono reso conto che l’essere umano, se lasciato a sé, non riga dritto. Non ce la fa proprio. Non è nella sua natura[8]. Mi sono quindi detto che molto probabilmente le religioni sono state create anche per questo, per far rigare dritti gli esseri umani perché se lasciati a sé non lo fanno; lo asseriva anche il filosofo e astrologo mantovano Pietro Pomponazzi (1462-1525) che diceva che visto che l’uomo è di per sé un essere grossolano e portato più al male che al bene, può essere spronato verso azioni virtuose solo in due modi: o dandogli la speranza di un premio eterno o mettendogli addosso la paura dei castighi eterni.

D’altronde se si parte qui dalla Terra si arriva al pianeta Giove passando da Marte – conflitti, guerra, odio –, mentre per arrivare a Nettuno si passa da Saturno e Urano, pianeti dell’Acquario. Qualcosa vorrà dire, no?


[1] Ho scritto un post che spiega questo concetto: lo potete leggere QUI.
[2] «Il nome italiano Giove è palesemente legato a Jovis, il genitivo di Juppiter. E la forma latina Juppiter […] è nata da una formula di invocazione, dyeu peter (indoeuropeo) che vuol dire Cielo padre! e corrisponde esattamente al vocativo greco Zeû páter. Vicino a Juppiter si è conservata la forma Diespiter, corrispondente al vedico dyauh pita. Dyeu e dyauh, poi, si legano alla radice div (che richiama la luminosità del cielo) e dà, in sanscrito, la forma deva, e da cui deriva il latino deus, italiano Dio» (ANTONINO ANZALDI-LUIGI BAZZOLI, Dizionario di astrologia, Rizzoli, Milano 1988, p. 194).
[3] Il termine religione verrebbe dal latino religāre, “unire insieme, legare” (LATTANZIO, Divinarum Institutionum, IV, XXVIII). Altri danno altri significati, come relegěre, “scegliere, leggere, ascoltare” (CICERONE, De natura deorum ad M. Brutum liber secundus, 28,72) oppure religěre, “scegliere di nuovo” (AGOSTINO, De Civitate Dei contra paganos libri viginti duo, X, 3,2).
[4] E. FROMM, Avere o essere?, Mondadori, Milano 1982.
[5] «Fiore che spunti dal muro screpolato / Io ti colgo dalla fessura / Ti tengo qui, la radice e tutto, nella mia mano / Piccolo fiore – ma se potrò capire / ciò che sei, la radice e tutto, e tutto in tutto, / saprò che cosa sono Dio e l’uomo.» (A. TENNYSON).
[6] «Se guardo attentamente / vedo il nazuna in fiore / presso la siepe!» (M. BASHŌ).
[7] P. GALEA, Il seminarista tra religiosità e spiritualità, in: «3D Tredimensioni. Psicologia. Spiritualità. Formazione», rivista dell’Istituto Superiore per Formatori collegato all’Istituto di Psicologia della Pontificia Università Gregoriana di Roma, anno VII, n. 3, Settembre-Dicembre 2010, p. 248.
[8] Ho scritto un post in tal senso: lo potete leggere QUI.


Foto da: www.whats-your-sign.com

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